15946 - Il castello di Michele Sanmicheli

N. Lygeros
Traduzione: Lucia Santini

Aveva conosciuto Michele.
E conosceva la capacità di resistenza del castello.
Era fra i più rari architetti che conoscevano l’assedio ed avevano un quadro
completo del Mediterraneo.
Era andato a Corfù, a Creta ed a Cipro.
Aveva imparato da vicino l’arte greca.
Per questo vediamo nelle sue opere i capitelli dorici.
Le Chiese e i suoi palazzi mostravano la sua sensibilità per il valore della pietra.
E i suoi castelli per il rispetto verso gli uomini che proteggeva.
A Famagosta il suo castello dominava davanti al mare come un antico teatro
Greco, perché ne conosceva il valore e la sua importanza.
La sua protezione si basava su una stuttura con quattro angoli e un profondo fossato.
L’invasore dunque doveva estenuarsi dando tutto per prendere poco.
All’inizio gli Ottomani credevano che con i Giannizzeri avrebbero avuto la meglio facilmente.
Però quando li inviarono al primo attacco per mettere tutti in soggezione
li respinse la cavalleria veneta.
E ciò provocò non solo sorpresa nella maggior parte della gente ma stupore nei competenti.
Famagosta non avrebbe accettato nessuna capitolazione senza una dura battaglia.
Gli abitanti di Famagosta non appartenevano a coloro che se ne vanno, prima ancora di vedere il nemico.
Sarebbero rimasti fino alla fine per proteggere la loro terra.
Questo capirono i loro nemici.
Così cambiarono strategia.
Ed abbandonarono l’avanzata al fronte.
Da quel momento adoperarono l’artiglieria.
Venticinque cannoni e quattro bocche da fuoco cominciarono a bombardare spietatamente
la Città lasciando la morte rapire chiunque.
Però non avevano previsto la tenacia dei leoni di San Marco.
Ed ogni colpo anche se li feriva li ingigantiva per la battaglia.
Questo aveva in mente quando finì la notte.