22578 - L’errore del giudizio di Venizelos nel 1934

N. Lygeros
Traduzione: Lucia Santini

L’errore del giudizio di Venizelos nel 1934 riguarda la  proposta dell’assegnazione del premio Nobel per la Pace a Mustafà  Kemal. Fortunatamente il Comitato per il Nobel nella sua saggezza esemplare lo ha completamente ignorato e questa candidatura non è stata neppure discussa. Tuttavia, è interessante studiare l’originale di questa lettera per comprendere questo ragionamento che non tiene conto dell’esistenza del genocidio, soprattutto nell’occasione del centenario di quest’ultimo.

Signor Presidente,
           Durante questi ultimi sette secoli tutto il Medio Oriente ed una gran parte dell’Europa centrale fu il teatro di guerre sanguinose. L’Impero Ottomano ed il regime assolutista dei Sultani ne fu la causa principale.
La sottomissione dei popoli cristiani, le guerre religiose e la Croce contro la Mezzaluna che ne furono il fatale risultato, e le insurrezioni successive di tutti questi popoli aspiranti alla loro libertà, creavano  uno stato di cose che doveva  rimanere come una  costante fonte  di pericolo fino a che  l’Impero Ottomano non avesse perso l’impronta che vi aveva dato il Sultano.

I due primi paragrafi sono un’accusa diretta del regime dei Sultani e di conseguenza solo dell’Impero Ottomano, che considera come l’unico responsabile delle sanguinose guerre nel Medio Oriente, e nell’Europa centrale. Anche se quest’accusa è fondata, è posta in evidenza, sempre omettendo qualsiasi riferimento al regime dei Giovani Turchi, per mettere in mostra lo spirito liberale del riformatore senza precisare chiaramente che nel riquadro genocidiario, ha continuato fino al 1923, la politica cominciata nel 1894 sulla distruzione sistematica di ogni popolazione non mussulmana dell’Impero.

L’instaurazione della Repubblica Turca nel 1922, allorquando il movimento nazionale di Mustafà Kemal Pacha trionfò sui suoi avversari, mise definitivamente fine a questo stato diinstabilità e di intolleranza.
 Raramente, in effetti, fu realizzato in così poco tempo un cambiamento così radicale nella vita di una nazione.
Ad un impero in declino, che viveva sotto un regime teocratico ove la nozione di diritto e di religione si confondevano, si sostituì uno stato nazionale e moderno, pieno di vigore e di vita.

È interessante costatare in questo paragrafo la confusione che esiste fra la nozione di instabilità e di intolleranza. Perché è vero che il nuovo regime creò la stabilità continuando il genocidio, poiché le differenze erano scomparse, ma questo si ottenne grazie all’intolleranza che dimostrò tramite il genocidio e la sua fase finale, che la cosa peggiore era possibile. Così il cambiamento fu radicale perché si trattava semplicemente di una vera dittatura  e nient’altro. Quanto alla critica del  regime teocratico ove la nozione di diritto  e di religione si confondevano, è ancora più impertinente in quanto proviene da un uomo di stato che visse in una nazione ove lo stato e la chiesa non sono per nulla separate. Venizelos contava sull’ignoranza del comitato Nobel su questo fatto?

Sotto l’impulso del grande riformatore, Mustafà Kemal Pascha, fu abolito il regime assolutista dei Sultani, e lo stato divenne francamente laico. La nazione intera si lanciò verso il progresso, ambiziosa, meritatamente, di figurare all’avanguardia dei popoli civilizzati.
Ma il movimento per il consolidamento della pace camminò di pari in passo con ogni riforma interna che diede il suo aspetto attuale al nuovo stato altamente etnico della Turchia. In effetti la Turchia non esitò di accettare legalmente la perdita di provincie abitate da altre nazionalità, e francamente soddisfatta delle sue frontiere etniche e politiche, così definite dai trattati è diventata un vero pilastro della pace nel Medio Oriente.

Qui Mustafà Kemal è presentato come grande riformatore senza precisare che è il caso di ogni dittatura. Infatti, Venizelos non poteva saperlo ma sono le stesse caratteristiche che definirono in seguito il regime di Hitler, di Mussolini, di Stalin. La Turchia diviene infatti uno stato laico ma solamente con i mussulmani, quel che continua a creare confusione fino ai nostri giorni, poiché tutti gli altri erano stati sterminati o esclusi. In  quanto all’avanguardia dei popoli civilizzati, è preferibile  evitare questo esempio genocidiario. Scrivendo che la Turchia accettò legalmente la perdita di provincie abitate da altre nazionalità, Venizelos non utilizza soltanto un eufemismo ma commette un grave errore di propaganda. La Turchia  accettò solo queste  concessioni forzate perché aveva perso le due Guerre Balcaniche, come pure la prima Guerra Mondiale. Furono queste sconfitte che la costrinsero a separarsi dai territori che occupava, e nient’altro.

Si tratta di noialtri Greci, che  lotte sanguinanti mantenerono per lunghi secoli in uno stato d’antagonismo continuo con la Turchia, che avemmo per primi l’occasione di provare gli effetti del cambiamento profondo avvenuto in questo paese, successore dell’antico Impero Ottomano.
Avendo, all’indomani della catastrofe dell’Asia Minore, individuato  la possibilità di un accordo con la Turchia rigenerata, nata   dalla guerra come stato nazionale, noi le tendemmo la mano che accettò con sincerità.

I riferimenti alla catastrofe dell’Asia Minore e le spiegazioni associate non solo sono inappropriate per parlare di questi eventi ma sono del tutto e semplicemente intollerabili per le innumerevoli vittime di questi orrori della guerra come pure l’insieme degli esiliati dalle loro terre ancestrali. In quanto alla Turchia rigenerata, come non vedere in questa espressione la concretizzazione del risultato genocidiario che proveniva dall’eliminazione di ogni popolazione considerata come degenerata dal punto di vista turco, vale a dire dal punto di vista di colui che giudica di essere forte in rapporto ai deboli. Per ciò che riguarda i Greci, si sarebbero trovati in difficoltà a tendere la mano poiché è il loro braccio che è stato amputato all’epoca della perdita della regione del Ponto e dell’Asia Minore. Con la Tracia amputata, come avremmo potuto accettare se non forzatamente, quest’ orrore umanitario.

Da questo approccio che può  servire d’esempio circa le possibilità d’intesa  anche  fra popoli che le più gravi divergenze hanno diviso, quando  i medesimi  si lasciano penetrare dal desiderio sincero di pace,  non ne  risultano che  benefici tanto per i due paesi in causa, quanto per il mantenimento dell’ordine pacifico nel Medio Oriente.
Ma l’uomo a cui questo contributo prezioso alla causa della pace è dovuto è giustamente il Presidente della Repubblica Turca Mustafà Kemal Pacha.
Ho dunque l’onore in qualità del capo del Governo Ellenico nel 1930, quando la firma del patto Greco-Turco segnò un’ era nuova nel canale  del Medio Oriente verso la pace, di porre la candidatura di Mustafà Kemal Pacha all’insigne onore del premio Nobel per la Pace.
Vogliate gradire, Signor Presidente, la garanzia della più alta considerazione.

I paragrafi finali sfiorano l’innocenza politica perché dopo tutte queste perdite terribili, questi genocidi, parlare di desiderio sincero di pace, torna a dimostrare l’incapacità non solo di analizzare correttamente il passato, ma anche di comprendere strategicamente l’avvenire. Fortunatamente, per Venizelos, egli è morto nel 1936, e non ha potuto vedere il seguito del Kemalismo. Fortunatamente anche, Mustafà Kemal è morto nel 1938 e non ha avuto il tempo di mettere ancora di più in colpa i pensieri di Venizelos. Perché quest’ ultimi   mostrano chiaramente la sua incapacità di giudicare eventi e situazioni chiare di fronte alla storia. Comunque sia,  è importante che la sua lettera di raccomandazione sia  stata posta là ove meritava di essere e che nessuno del Comitato Nobel non ne abbia tenuto conto. Di conseguenza  la giustizia dell’Umanità non ha bisogno di raccomandazioni.