49029 - L’angoscia dell’epidemia o l’epidemia dell’angoscia

M. Piumetti, N. Lygeros

Le malattie virali segnano profondamente la storia dell’Umanità, soprattutto quando colpiscono l’intera popolazione mondiale. Uno degli esempi più recenti è l’influenza spagnola del 1918. Ciascuno di noi lo sa e forse, anche per questo, un’epidemia genera angoscia nella società incapace di agire in una dimensione indeterminata e senza referenti. È per questo motivo che osserviamo la comparsa del fenomeno dell’epidemia dell’angoscia. In situazioni di emergenza epidemica, tre sono gli attori: la popolazione, la politica e la sanità. Questi tre soggetti hanno naturalmente differenti interessi ma devono necessariamente trovare una mediazione in caso di epidemia, una phronesis. Si tratta dunque di istituire un mix strategico che consenta di convergere comportamenti diversi verso lo stesso obiettivo. L’inconscio collettivo è angosciato dalla diffusione del virus e ciò porta la società ad agire in modo incoerente, isterico e talvolta perfino schizofrenico. Si passa, infatti, dall’accaparramento dei supermercati alla serata tra amici al bar come se fosse un periodo di festa. Perché il comportamento non è coerente. I locali nel paese sono stracolmi di giovani e studenti che assaporano un periodo di vacanze forse ancora miopi dell’epidemia imminente. La popolazione rimane in negazione e non vuole accettare i fatti, vale a dire l’esistenza dell’epidemia. Questa nottata passerà prima o poi ma ci saranno dei cambiamenti strutturali nella società in cui viviamo. Le nuove abitudini adottate dalla società tenderanno ad auto-conservarsi se protratte nel tempo e ciò farà si che un semplice minuscolo virus di pochi nanometri, che vuole semplicemente replicare il proprio RNA in qualche cellula, possa modificare la nostra epoca. D’altra parte, se ci rendiamo conto che si tratta soprattutto di gestire un’epidemia di ansia, supereremo anche questa difficoltà, come l’Umanità ha sempre fatto.